Frammenti nomadi
Analfabeti d’Italia. Democrazia, populismo, New Media ed elezioni.
“Cinque italiani su cento tra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera da un’altra, una cifra dall’altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta e a decifrare qualche cifra. Trentatré superano questa condizione ma qui si fermano: un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata della loro capacità di lettura e di scrittura, un grafico con qualche percentuale è un’icona incomprensibile. Secondo specialisti internazionali, soltanto il 20 per cento della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea…”
“Analfabeti d’Italia” Tullio De Mauro in Internazionale n. 734 del 7/3/2008
E’ l’inizio di uno sconvolgente articolo pubblicato oggi sull’ Internazionale (compratelo soldi spesi bene sempre. P.S.non mi pagano) da Tullio De Mauro, noto e battagliero linguista Italiano.
Ci informa che i dati, presi da due ricerche internazionali, vedono l’Italia fanalino di coda; solo uno stato del Messico, Nuevo Leon, è peggio messo.
Chi studia economia, oggi, avrà sentito ripetersi milioni di volte, parlando di monopoli, che questi nascono principalmente quando esistono barriere all’entrata molto alte per chi volesse investire in quel settore. Cioè, ad esempio, pochi canali televisivi su cui trasmettere già occupati che impediscono ad altri concorrenti di entrare; o le necessità per entrare in quel settore di un’autorizzazione difficile da avere o di capitali ingenti.
A questo punto, ogni volta, si aggiunge: ma oggi le barriere più efficaci per conquistare e mantenere posizioni di vantaggio sul mercato sono le capacità e le conoscenze distintive (cioè uniche) che un’azienda possiede.
Seguendo questa logica l’Italia non potrà di certo essere il soggetto vincente della competizione globale. (infatti De Mauro scrive “Secondo alcuni economisti il ristagno produttivo Italiano, che dura dagli anni novanta, è frutto dei bassi livelli di competenza”)
A questo punto, si potrebbe pensare che l’articolo sia opera di un mitomane o dell’unico nel paese ad essere a conoscenza di questi dati.
La situazione è invece più che nota a studiosi, politici e gente normalissima (ad esempio chiunque fa un corso di linguistica dovrebbe averli letti, questi o simili. E diverse volte ho letto articoli sull’argomento.)
In campagna elettorale tutti parlano di rilanciare l’economia e, quasi per dovere di forma, aggiungono alla fine un qualcosa che suona:
“naturalmente dobbiamo poi risollevare la scuola Italiana dall’incubo in cui è precipitata, perché nella società della conoscenza non c’è crescita senza istruzione”
(citazione fiction).
La scuola e l’università Italiana sono da decenni sottoposti a continue rivoluzioni inconcludenti, perché non programmate, imposte dall’alto, miopi e più di tutto perché non finanziate.
La realtà e di totale abbandono dello Stato, di spirito d’iniziativa e sacrifico di tanti e di baronie a più non posso. La qualità dell’istruzione è scarsa, prima ancora che per chi sa quale ragione organizzativo-culturale, per mancanza di danari. In più sconta gravi arretratezze organizzative e culturali, che l’iniziativa, se pur meritevole, di tanti insegnanti, professori e qualche rettore non può di certo riuscire da sola a compensare, anche per le resistenze di una buona fetta del corpo docente che o per interesse di baronia o per comodità di non fare è decisa a continuare imperterrita.
Su tutto questo si abbattono le riforme improvvise e quasi non discusse che tendono ad esasperare un clima già di certo non dei migliori. In ogni modo, per ragioni di convenienza elettorale ed economica, si ostacola la formazione di una generazione di docenti e ricercatori universitari, cinghia di trasmissione e di accrescimento delle conoscenze di un paese, suo principale capitale.(e questo con docenti universitari più anziani d’Europa e con il rischio che tra blocco delle assunzioni, precarizzazione dei contratti e invecchiamento del corpo docente, che per più della metà è vicino alla pensione, presto ci troveremo con una scarsità di Professori e tanti giovani che aspirano alla professione e sono costretti ad emigrare, verso l’Europa o l’America.)
In più, ora, con l’Autonomia degli Atenei, che ha avuto anche effetti molto benefici, le sedi si sono moltiplicate a dismisura. Per avere più fondi spesso si è ingaggiata una vera lotta a colpi di spot e di facilitazioni per gli studenti (compreso abbassamento degli standard formativi) che ha causato in alcuni casi il grave deperimento dell’istruzione offerta e un diluirsi di finanziamenti, già scarsi, tra molti pretendenti, peggiorando la situazione dei poli storici e di eccellenza.
Un altro tema caro ai politici, almeno alcuni, e ai commentatori politici, è il populismo della società moderna.
Molte ricerche (basta citare la storica e un po’ datata “la personalità Autoritaria” di Adorno) hanno dimostrato che la predisposizione all’obbedienza al capo, la tendenza populista attecchisce di più dove l’istruzione scarseggia. Oggi, si può sottolineare che l’istruzione fornisce una qualche barriera a tali fenomeni se non si tratta di un’istruzione meccanica e nozionistica, ma di un processo in cui si insegna ad apprendere e si trasmettono capacità di lettura e critica del mondo.
L’istruzione è la cinghia che permette ad un popolo di trasmettere e accrescere le sue conoscenze e valori in un contesto di rielaborazione critica e innovazione.
Senza la società resta ferma e immobile in un limbo d’incultura e gli individui non sono messi in grado di affrontare al meglio la società post-moderna; dove diviene,tra le altre cose, dirimente del successo di una persona la sua capacità di scegliere e distinguere velocemente i frammenti di stimolo e di segni per potersi orientare in una società con un eccesso d’informazione, in maggioranza vuota ed inutile, al fine di trovare quella che gli è utile.
Tantomeno sarà in grado di esercitare pienamente i suoi diritti di cittadino.
Tutta la teoria democratico egalitaria si basa su un presupposto implicito del tutto errato, “Il cittadino informato”; cioè che è in grado di capire ciò che succede e di compiere una scelta.
A sentire De Mauro ad oggi il 20 per cento dei cittadini Italiani è in grado di farlo pienamente. (con ciò non intendo che senza saper tutto non si può fare una scelta sensata, ma almeno resta più rischiosa; ne che istruito significhi avere una carta, tanti laureati non sono “cittadini informati” o capaci di un’analisi critica e di autodidatti noti ce ne sono un mare)
Questo ha un impatto distruttivo su l’essere uguali, così fortemente espresso nelle costituzioni democratiche e sulla stessa natura della democrazia, che diventa plebiscitaria.
L’effetto dei media di personalizzazione del discorso politico, la naturale tendenza dal secondo dopoguerra, in occidente, al rafforzamento dei poteri del premier per rispondere ai maggiori compiti dello Stato, dovuti al Welfare, e alla crescente complessità delle sfide globali; e la mancanza di cultura critica ed informazione libera e utile hanno spinto ad una deriva populista.
E’ andata peggio nei paesi come l’Italia, dove non si è risposto in tempo alla necessità di un rafforzamento equo e necessario dei poteri del primo ministro, e l’ingovernabilità ha favorito fenomeni di rottura populistico-carismatica degli schemi politici.
Alcuni studiosi, che non so se considerare realisti o elitisti, sostengono che, perché una democrazia funzioni, basta una percentuale di cittadini più attivi ed informati che “sorveglino” chi governa. Primo avrebbero comunque bisogno di informazione aperta, libera e completa. Secondo dovrebbero riuscire poi ad influenzare la restante popolazione per influire sulle scelte. Terzo come la storia insegna, userebbero il loro potere di influenza a proprio vantaggio. Quarto l’uguaglianza e la libertà di scelta?
Probabilmente una certa differenza è normale, ma non mi sembra un obbiettivo impossibile arrivare al punto che tutti, desiderandolo (visto che un altro errore classico è pensare che tutti per forza avendone le capacità vorrebbero partecipare alla vita pubblica), possano avere le basi culturali e informative per partecipare, pienamente, alla vita politica.
Altro tema caro alla politica, in periodo di elezioni, è la meritocrazia.
“che tutti abbiano stesse possibilità di partenza e che poi il merito selezioni gli invincibili eroi” (citazione fiction)
Di per se i lupi che sono animali da branco conoscono l’altruismo della sopravvivenza. Oggi, o in questo, io aiuto te; domani, o in quell’altro, tu aiuti me. Credo che, anche attenendoci a questa regola naturale, un simile pensiero sia eccessivo. Se poi si considera che, in tutto il mondo e ancor più in Italia, raramente il talento da solo è sufficiente… (tanto che si fa mito del self made man, che se fosse così comune non sarebbe mito)
E da questo resta fuori l’evidente vuotezza di promesse elettorali che sono state smentite per decenni interi dai fatti concreti e che, a ben guardare, anche nelle promesse non offrono quello che sarebbe davvero necessario per inserire, in una società ancora connotata dal familismo amorale, un giusto e funzionale criterio di meritocrazia.
La situazione reale è, che a fronte di tali dati ben noti e dei gravissimi rischi che questi comportano per l’economia, la società, la qualità della vita e il patto politico-democratico su cui si basa la convivenza moderna; si continua a sottovalutare il problema e a farne materia di consenso elettorale e che né politici, né cittadini sono disposti a combattere questa battaglia fondamentale per il futuro.
Siamo una società in declino perché convenienze dell’oligarchia e apatia sociale distruggono le poche capacità critiche e formative ancora in piedi. La moltiplicazione di laureati (bassissima rispetto ai competitor europei, ma cmq in crescita) non è una garanzia di qualità e resta un fenomeno aperto a determinati ceti o classi sociali (o almeno a cui si accede molto più facilmente da alcune posizioni sociali di partenza); e peggio ancora l’assoluta mancanza di meritocrazia è il vero strumento di mantenimento dell’oligarchia e di inserimento nella società bene dei pochi meritevoli che servono e che accettano le regole implicite del gioco.
Tale fenomeni, lungi dall’essere intaccati dai nuovi media, ne vengono in realtà accresciuti.
La rete che per sua natura è collaborativa, democratica e orizzontale è investita dai fenomeni sociali ed economici del mondo reale che ne forzano le regole. Sempre più la rete, sotto la spinta di forti interessi economici, si configura come canale alternativo dell’industria culturale per fornire contenuti di massa non interattivi o scarsamente interattivi. I siti dei maggiori network sono i veri vincitori della competizione sul Web.
A questo si aggiunge il Digital Divide, che ha due aspetti, anche se di solito si tende a considerarne uno.
Quello più noto è che nella realtà non tutti hanno la possibilità di accedere ai New Media.
L’altro è che non basta avere la possibilità fisica di accedere alla rete, ma per una navigazione consapevole, che sia strumento di crescita e di partecipazione, bisogna averne le capacità culturali e critiche, il tempo e spesso anche le capacità economiche.
La rete, ad oggi, si sta rivelando strumento di partecipazione ulteriore, e di ulteriore influenza, per chi già aveva possibilità di partecipare ed influire. L’istruzione, oggi più che mai, dovrebbe formare persone in grado di orientarsi nel caotico flusso di informazione; e di leggere le informazioni in modo critico; per poi prendere parola, che per molti è la vera possibilità liberatoria di Internet. Si può aggiungere che prendere parola non è sufficiente di per se ad esercitare influenza se non c’è nessuno ad ascoltare. Tanto che alcuni studiosi si spingono a definire la nostra economia come Economia dell’attenzione. Sostengono che il bene più prezioso e scarso è l’attenzione del cliente/spettatore e che sul mercato globale
vince chi riesce a conquistarlo. (economia dei contatti)
Gli effetti sociali delle tecnologie e in particolare dei media dipendono in parte dalle logiche intrinseche del mezzo, ma in larga parte risultano dall’uso sociale che se ne fa. Da come l’uomo le inserisce nel mondo e le usa.
Dietro le possibilità liberatorie della rete un mostro si affaccia. Il mostro sono gli squilibri sociali e di potere, che si stanno riproducendo in rete, e l’analfabetismo ancora diffuso, inteso sia in senso classico e ancor più in senso di alfabetizzazione digitale e di formazione di capacità critiche.
(tanto più che la partecipazione virtuale spesso diventa un palliativo che impedisce la partecipazione nel mondo fisico)
Dietro l’incoerenza politica sulla scuola e la mancanza d’intervento reale, sensato ed urgente; dietro le promesse non chiare e troppe volte già vuote qualcuno potrebbe vedere un deliberato progetto per tenere le persone ignoranti così da poterle meglio controllare.